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lunedì 25 ottobre 2010

MOTTA SANT'AGATA (tratto dal n.04 del Magazine di Calabria Etnica)

Impresa non facile quella di riuscire a descrivere in poche parole quello che è stato e che è tutt’ora Motta Sant’Agata, una città gloriosa ed inespugnabile, un luogo suggestivo ed incantevole, un pezzo di storia e di architettura rimasto visibile in parte sino ai nostri tempi.  Dall’aprile del 2006, quando nella Pro Loco Reggio Calabria San Salvatore è stato avviato il corso per guide tenuto dal professore Orlando Sorgonà, questo luogo ha cominciato a fare parte integrante della mia vita.
La Motta ancora oggi regna sull’intera vallata. Domina, proprio come nel periodo di massima espansione (XVII sec.) sui paesi di San Salvatore, Cataforio, Mosorrofa, ma anche Armo, Vinco, Pavigliana, Cardeto con i campi, e tutta la fiumara omonima sino allo sbocco sul mare. I margini del suo dominio infatti, probabilmente coincidevano con la fiumara Calopinace a Nord, e la fiumara di Armo a sud. Oggi sulla Motta si osservano ancora le tracce di quella antica e gloriosa città. Basta percorrere l’antico sentiero che attraversa la rupe per ritrovare infatti i ruderi di quello che un tempo furono Chiese, case ed edifici pubblici pieni di vita.
Il  viaggio attraverso ciò che resta della Motta comincia col risalire il primo tratto del  ripido sentiero che costeggia il fianco settentrionale della rupe. Sulla parete del monte, la prima testimonianza che incontriamo è un tubo di argilla dal diametro di 10 cm, questo è ciò che resta dell’antico sistema di canalizzazione con tubi fittili, necessario al fine di trasportare l’acqua sulla rupe, che si presentava priva di fonti sorgive. Il sistema di canalizzazione sfruttava il principio dei vasi comunicanti, in quanto attraverso questi tubi, veniva convogliata l’acqua proveniente dal monte Limma ( ad un’altezza superiore di quella di Motta Sant’Agata) dove vi era una fonte d’acqua.
Proseguendo il sentiero si arriva alla porta di terra, orientata ad est che era l’antico ingresso alla città fortificata, che si opponeva alla porta di mare, orientata ad ovest, e che era munita di ponte levatoio. Qui è rimasta visibile la soglia, costituita da enormi pietre di granito. Testimonianze archivistiche confermano che sino al 1800 vi fossero due grandi cancelli in ferro che chiudevano l’accesso. Al di sopra della porta di terra, vi sono i resti di quello che era il castello, nella parte più alta della rupe.
Continuando a percorrere il sentiero dell’antica città si incontra una grande cisterna per la raccolta delle acque meteoriche, ancora perfettamente funzionante, di forma cilindrica, aperta in superficie, di fondamentale importanza per l’approvvigionamento idrico. A ridosso del sentiero si incontrano altri ruderi di case e di palazzi nobiliari.
Svoltando l’angolo, ci si trova dinanzi alla Chiesa Protopapale di San Nicola, detta anche Cattolica del Salvatore, una grande e suggestiva struttura orientata ad est costituita da un'unica navata separata dal presbiterio per mezzo di un iconostasi. Nella navata vi sono i resti di 4 cappelle che appartenevano alle famiglie nobili Agatine. Al di sotto della navata vi sono gli accessi alle 5 cripte dove venivano sepolti i cadaveri, nella cripta principale, utilizzata per seppellire le dignità ecclesiastiche, si presenta un pozzo centrale attorno al quale vi sono 11 nicchie scavate nella parete, che andavano ad accogliere i corpi. Nella zona presbiteriale è ancora visibile il pavimento originario in piastrelle quadrate di argilla, ed i resti dell’altare, che  era dedicato a San Nicola da Mira, un santo di tradizione bizantina. È visibile sulla parete sinistra una Croce greca incisa nell’intonaco, la cui forma ricorda le croci templari
Imboccando una viuzza sul lato sinistro della chiesa di San Nicola si giunge al Frantoio con relativa macina, che è un’importante testimonianza della presenza di un attività produttiva quale la produzione dell’olio. La struttura si presenta interrata quasi completamente. Si accede all’interno attraverso un piccolo accesso che conduce ad una sala coperta da volta a botte.
Continuando il sentiero, si giunge alla Chiesa di San Basilio,  di dimensioni  più piccole di quella di San Nicola, anch’essa orientata ad est, con un'unica navata e nicchia terminale. Sul lato sinistro vi è una cappella scavata nella muratura, appartenente ad una delle famiglie nobili sant’Agatine, i Mazzone, proprietari della chiesa stessa che era jus patronato. In una teca di legno posta sul lato destro vi era una Statua di San Basilio magno, risalente al 1535 che adesso si trova nella chiesa di  Gesù e Maria a Cataforio. Sul lato sinistro si osservano i resti di un ciclo di affreschi, raffiguranti una teoria dei santi. Questo affresco è in parte ricoperto da un intonaco, forse a testimonianza del passaggio della chiesa dal rito greco al rito latino.
La storia della Motta è ricca di avvenimenti e vicende che la videro protagonista, alcune pubblicate e conosciute, altre ancora inedite. Sappiamo che a Sant’Agata vi fosse un castello già dal 1275, ai tempi di Carlo I d’Anjou; in tali documenti, viene inoltre mostrato che Sant’Agata è un municipio a se, quindi indipendente dalla vicinissima città di Reggio. La Motta fu più volte assediata, proprio come accadde nel 1351, quando i reggini posero Sant’Agata ad un assedio regolare e prolungato. Successe che mancarono i viveri per resistere e gli abitanti della Motta decisero di sottomettersi al conte di Mileto piuttosto che concedersi ai reggini. Sant’Agata era anche una fortezza inespugnabile, riuscì a salvarsi persino nel 1462, quando  Ferdinando I D’Aragona ordinò ai reggini di attaccare le Motte ribelli e resistette persino all’attacco del corsaro turco Dragut, avvenuto nel 1552. Moltissimi altri avvenimenti scrissero la storia di quella città, di quelle case e di quella gente, che fu per anni tristemente dimenticata e depredata, ma che come in un sogno rivive nello spirito di chi si sente orgoglioso di farne ancora parte.   
Valeria Varà                                                                                    

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